Al posto giusto al momento giusto

Al posto giusto al momento giusto

Gli avevano detto che quello che conta è essere nel posto giusto al momento giusto. Culo, probabilmente. Da quando si era ritenuto anche lui un partecipante attivo della vita lavorativa di quella società fondata sul lavoro, aveva pensato che prima o poi anche lui sarebbe capitato al posto giusto al momento gusto. Aspettava. Lavorava e aspettava. Anche se più che un lavoro il suo era un mestiere. Anche se come mestiere non veniva preso in considerazione come lavoro. Molte volte anche lui cadeva in questo pensiero.

Solo questione di tempo. Basta prepararsi. E lui si sentiva preparato, piuttosto preparato. Ha speso forse anche troppo tempo per prepararsi. Che poi, prepararsi a che? Se non arriva niente? NO. Non essere negativi è la prima regola. Negatività porta negatività. Non infossarsi: respirare e mantenere il plesso solare bello lucido e scintillante. Cazzo se sono capace!

Il momento giusto. Gli sembrava come quando doveva prendere il treno da pendolare: appena arrivi quello è appena partito. Matematico. Lui era nel luogo giusto al momento subito dopo a quello giusto. Percepire l’esistenza come un pendolare che maledice quel minuto in più di caffè ordinariamente concesso.

Questa volta nessuna concessione. Prende il treno in tempo per arrivare persino in anticipo. La concessione di camminare al posto di correre. Di accorgersi di un bimbo che scappa ridendo dal nonno. Insomma di tutti quei momenti che vai perdendo nella vita e che ritrovi in pubblicità per farti venire voglia di comprare una dentiera per essere un nonno migliore o per mordere tuo nipote…

Sul treno c’è la solita umanità affaticata attraverso cui provi ad intravvedere se i tuoi problemi si riflettono. Difficile a dirsi. Ma nessuno sembra particolarmente felice, il che ti rincuora. Specchiarsi nelle vite degli altri e come sporgersi su uno stagno. Lui non riusciva a capire quanto la sua vita fosse più o meno torbida. Alla sinistra un rasato con barba non rasata e un tatuaggio da due soldi ma di probabile valore sentimentale dietro l’orecchio. Cuore con iniziali. Romanticismo epidermico, quindi superficiale. Urla. Un matto come tanti, come tutti direi. Tutti o tanti non lo pensano matto, perché le urla sono rivolte al telefono tenuto come un alettone vicino alla bocca. “Perché scrivere in silenzio, quando si possono urlare informazione di poco conto a chi mi sta attorno?” Si chiese l’inventore dei vocali.

Lo stagno del rasato era imperscrutabile. Forse perché era acqua mista a calce. I muratori si portano tracce di lavoro addosso. Sudore e calce, forse li farà sentire più uomini. Forse più felici. Non lo sa. Lo guarda uscire alla fermata. Si sente un intellettuale, piccolo. Vorrebbe urlare, ma non saprebbe che dire.

Non che lui non sgobbi. L’ha fatto. L’ha fatto. L’ha fatto. L’ha fatto. L’ha fatto. Quello che c’è di buono nella fatica è che ti dimentichi del perché stai faticando. Ora no però. Ora siamo al momento giusto. Al posto giusto. Appuntamento con S., la donna che ha avuto per diverso tempo dentro di lui. Nella sua mente. Ha vestito i panni del personaggio che girovagava nella sua mente da almeno due anni. S. era perfetta per il suo lavoro: attrice, comica, di successo. Il successo più ieri che oggi, ma del resto se fosse stata ancora sulla cresta non lo avrebbe cagato. E poi era brava, molto brava. Questo era quello che contava.

Non era puntuale, quello no: Lui aveva vestito i panni della segretaria pur di fare arrivare lei puntuale. “Venerdi abbiamo appuntamento in teatro, ci sei?”. Pollice in su.

“Ci possiamo vedere un po’ prima?”. Pollice in su.

“Facciamo anche una mezz’ora”. Pollice in su.

“Io ci sono, tu ci sei?”. Vuoto.

Ritardo. Ooook mantenere la calma, tutto è ancora tranquillo, anche se volevi vederla prima per definire come e cosa dire, non importa perché l’importante è che ci sia all’incontro, perché sai quanto lei piaccia al teatro. Arriva. Sono le 14.00, l’ora dell’appuntamento con la direttrice. Porcapputtanamavatuttobene.

Gli scambi veloci di pensieri nel film che ti eri diretto del tuo incontro con lei venivano discussi con montaggio incalzante attorno ad un tavolo di professionisti. Invece no.

Il posto giusto al momento probabile. Entriamo. Sorrisi risate e saluti: “dobbiamo vedere M. la direttrice”, “salite”. Ascensore e brividi fantoziani, ma li tengo segreti. Pensieri sulla moquette blu “Tu sei il giovane autore, il giovane autore. Sì. È un bel lavoro, belle tematiche, begli argomenti, c’è grande attrice S. e due copie ben rilegate e stampate… tutto perfetto. Sei forte cazzo.” S. apre la strada come una rompighiaccio.

“Ciao S. come stai?”. Sorriso. Due baci: uno a lei, l’altro pure. Seguiamo la direttrice nell’ufficio. Probabilmente non si è accorta che era entrato anche un altro essere umano nell’ufficio. Lui recupera salutando. Niente baci. L’intellettuale diventa più piccolo sulla sedia.

Eccoci di nuovo qua, alla situazione della scrivania. Uno di qua e l’altro di là. In questo caso due di qua, il signor Nessuno e la Rompighiaccio. Sospensione. “Ditemi brevemente quello che volete”. Leggera tensione, ma ho le mie copie nella borsa e sono ben stampate. C’è anche la spirale blu.

Tutta l’esperienza di S. fa da chiglia sul Pack per fortuna: lancia un fantastico Assist al suo testo. Lui non segue il calcio, ma si sente parecchio inorgoglito delle belle parole di S., anche se non avrebbe utilizzato proprio quelle. Anzi non avrebbe proprio detto nulla di quello che sta dicendo S. Ma va bene. Va molto bene. Certo, cosa voleva di più? S. + bel testo + tematiche sociali + spirale blu. Tutto era nella giusta direzione. Infatti la risposta da parte di M. è “Non ci sono soldi”.

Bip bup bluuup… va lentamente a fondo. Il mare dell’Artico è freddo. Movimento discendente, un’altra volta. I ghiacci sono muri che crescono attorno. Il modo migliore di difendersi è collassare lentamente a livello del plesso solare e dello sterno. Raccogliersi attorno al proprio centro come un riccio, con l’illusione di un centro. I brividi fantoziani diventano più caldi.

No soldi, no tempo, no spazio. Occhi con la direttrice s’incrociano molto di rado.

“Quindi non si può fare nulla.”

“In linea di massima no. Non quest’anno.”

“E l’anno prossimo?”

“Forse.”

Spiraglio.

“… Ma non vi assicuro nulla.”

Spiraglietto.

“Mandatemi una mail, provo a girarla a chi decide le produzioni.”

“Ovvero?”

Il direttore supremo. Colui che si è conquistato il posto al vertice svariati anni prima, quando lui solo è riuscito ad entrare e fecondare l’ovulo di sua madre sparato dai testicoli di suo padre, precedente direttore supremo. Spiraglio molto piccolo.

Ma la speranza è l’ultima a morire. In prima linea c’è il senso d’orgoglio che, insieme ad aspettativa e buonumore, si contorce a terra impallinato.

Momento di calore ed entusiasmo! S. e M. si sono messe d’accordo per fare delle serate. S. reciterà nel teatro un suo monologo. Hip hip urrà. Il sistema funziona e l’orgoglio smette di contorcersi definitivamente.

L’ascensore sprofonda e lui insieme. Sorrisi risate e saluti. Usciamo dal teatro.

“Certo, per te deve essere stato frustrante.”

Lui pensava che il sentimento freddo che teneva tra le mani potesse passare inosservato, ma la parola FRUSTRANTE di lei glielo ha fatto gonfiare. Ora tutti lo potevano vedere e lui se ne vergognava. In realtà aveva sempre il suo piccolo spiraglio, ma comunque si vergognava. Essere un piccolo intellettuale, voler fare dell’arte. Con quale pretesa? Che si era messo in testa? I ghiacci lentamente salivano e lui più cresceva d’età e più si sentiva piccolo.

Torna a casa. Altro mezzo. Altra umanità. Problemi probabilmente più sensati e meno esistenziali. Il tempo è meteoropatico con lui: inizia a piovere. L’acqua non rinfresca le idee, ma lui ci prova lo stesso e fa tutta la lunga via lentamente. Se il cervello potesse gocciolargli dalle orecchie… I passi cadenzati. Lo sguardo bagnato. L’asfalto gli gira attorno come un topo nella ruota.

La vecchia città lo sovrasta. È sopra di lui, ruggisce forte e gli crolla addosso.

Sirene e protezione civile.